Benvenuti alla seconda newsletter mensile di ōmega. È stato un altro mese di crescita e di piccole soddisfazioni dal punto di vista quantitativo e qualitativo. Il 6 ottobre abbiamo, per esempio, avuto il piacere di partecipare alla Digital Week di Milano e di discutere di intelligenza (o meno) delle macchine, con ospiti di grandissimo valore come Norberto Patrignani, professore di Computer Ethics presso il Politecnico di Torino. È stata una splendida serata e chiacchierata. Ringraziamo Digital Week per l’invito e Cascina Nascosta per l’ospitalità.
Abbiamo anche avuto il piacere di lanciare il nostro primo podcast che è già arrivato alla seconda puntata. Dopo aver avuto come primo gradito ospite il giornalista Andrea Signorelli – con cui abbiamo parlato di come i media raccontino in modo un po’ approssimativo le intelligenze artificiali – questo mese abbiamo chiacchierato con Simone Grassini, professore associato della facoltà di psicologia di Bergen, nonché autore di uno studio, pubblicato su Nature, sulle differenze tra la creatività umana e quella delle macchine.
È ovviamente proseguita anche l’attività quasi quotidiana di pubblicazione su instagram, con il nostro secondo issue dedicato al rapporto tra cultura umana e intelligenze artificiali. Un rapporto che è divenuto particolarmente evidente e problematico con l’avvento delle AI generative ma che non riguarda solo queste ultime. Un rapporto che è vasto e stratificato e che coinvolge questioni con ramificazioni che vanno dall’arte all’economia, dal diritto alla letteratura.
Occupandocene non potevamo quindi che finire per toccare un grande numero di argomenti a cominciare dalla domanda più “grande” e, per certi versi, inquietante di tutte. E ovvero: l’enorme potere computazionale delle AI generative, in grado di produrre testi e immagini a una velocità impensabile per un essere umano, rischia di rendere “inutile” e “obsoleta” la cultura umana, da quella più aulica a quella più pop? La risposta che abbiamo provato a fornire, in una specie di piccolo editoriale d’apertura, è meno apocalittica e più sfumata rispetto al modo in cui molti pongono la domanda.
La possibilità di una convivenza tra creatività umana e iper-produzione delle macchine, ce la suggerisce in fondo la Storia dell’arte informatica, nicchia sperimentale dell’arte contemporanea in cui già dagli anni ‘50 hanno cominciato a circolare immagini ed esperimenti molto interessanti. Ne abbiamo raccolti alcuni per una sorta di breve mostra “virtuale”, liberamente ispirata a una grande mostra tenutasi qualche anno fa al MoMa di New York dal titolo Thinking Machines: Art and Design in the computer age 1959 - 1989.
Spostandoci completamente su un altro terreno ci siamo occupati poi di algoretica, ovvero del problema, posto anche dal Papa, di quale etica applicare alle AI. Un tema tanto sentito dalla Chiesa Cattolica da aver spinto il Vaticano a lanciare nel 2021 la RenAIssance Foundation. Per capire meglio di cosa si tratta e di cosa si occupa la fondazione vi rimandiamo all’articolo.
Cambiando di nuovo tenore e tematica, abbiamo intervistato lo scrittore Vanni Santoni, sperimentatore di AI generative, per chiedergli come giudica l’impatto delle intelligenze artificiali sulla letteratura e sulle categorie con cui la definiamo, inclusa la più ampia e tradizionale di tutte, quella di “romanzo”.
Come dicevamo nei paragrafi d’apertura, ogni giorno le intelligenze artificiali generative rispondono a milioni di prompt per produrre milioni di immagini. Oltre a essere un problema per l’ambiente (ne parlavamo il mese scorso) questa sovrapproduzione inevitabilmente finirà per “invadere” il web con prodotti delle AI. Prodotti che diventeranno le basi sulle quali nuove AI generative verranno addestrate e così via e così via. Quali effetti avrà tutto questo? Ci sono già studi in merito a questo fenomeno, noto come “model collapse” o “data degradation”, in virtù del quale sul lungo periodo l’output delle AI visive potrebbe diventare sempre più scadente. Noi pubblichiamo una sintesi della questione a cura di Daniele Gambetta, ricercatore universitario che se ne occupa già da alcuni anni.
Dopo aver parlato di AI che generano immagini, abbiamo rivolto lo sguardo a quelle che generano testi e “pensieri”, per chiederci se i chatbot siano davvero creativi. Il che apre a una serie di ulteriori domande. Per esempio: come si misura la creatività delle macchine? E la nostra? E, poi, la creatività è sinonimo di intelligenza? Vi rimandiamo all’articolo per alcune risposte.
Nel primo numero di ōmega abbiamo parlato della “strana” coincidenza per cui gli assistenti vocali sono caratterizzati, nella grande maggioranza, da voci femminili, un riflesso dei pregiudizi della società che li produce. Questo mese siamo tornati a occuparci del tema dei pregiudizi e dei bias ma per chiederci: in che modo essi si creano e in che modo essi si propagano attraverso i social e, da lì, possono plasmare le future intelligenze artificiali?
Per concludere siamo tornati a parlare di arte e di immagini raccogliendo alcuni dei migliori film realizzati dall’AI tra quelli attualmente disponibili online. Abbiamo quindi parlato di “data poisoning” e di Sunyata, il primo fumetto realizzato da un’AI a essere commercializzato in Italia, e delle polemiche che ne hanno travolto l’annuncio. Per capire meglio cosa è successo, e soprattutto che tipo di esperienza sia stata realizzarlo, abbiamo intervistato il suo autore, Francesco D’Isa.
In chiusura, come sempre, un’anticipazione di quello che sarà l’argomento che ci terrà impegnati nel numero di ömega novembre e ovvero “Apocalisse”. Ecco il testo di lancio, ci vediamo su Instagram!
Qualche anno fa, il Future of Humanity Institute di Oxford classificò l'avvento di una intelligenza artificiale senziente, ostile e fuori controllo tra i principali "existential risks" che minacciavano la specie umana.
In virtù di preoccupazioni simili, lo scorso marzo, numerosi esperti del campo e diversi imprenditori della Silicon Valley hanno firmato una lettera per chiedere uno stop allo sviluppo di nuove AI, in modo da assicurare un'evoluzione il più possibile sicura e benevola della tecnologia.
È insomma innegabile che il discorso intorno alle intelligenze artificiali sia ammantato spesso da un pessimismo quasi millenaristico per la potenziale "singolarità" (una parola su cui torneremo) che esse rappresentano.
Ma queste ansie sono davvero giustificate? O, viceversa, simili preoccupazioni da fantascienza – alimentate spesso dagli stessi attori che stanno sviluppando la tecnologia – sono altamente speculative e funzionali a distogliere l'attenzione dai problemi più immediati e concreti che pongono le intelligenze artificiali?
Questo mese proviamo a porre queste e altre domande in merito alle AI e ai problemi che esse potrebbero creare. Interroghiamo il modo in cui vengono raccontate e vengono percepite e ci rivolgiamo agli immaginari apocalittici, da quelli più concreti a quelli più improbabili, che esse alimentano continuano ad alimentare.